Andy Murray: la storia di un numero 1 predestinato

“Un talento strepitoso, una mano delicatissima ma un tennis e una personalità troppo leggeri.” Commentavano così i coach del piccolo Andy Murray, a quei tempi ben lontano dal rappresentare l’idolo sportivo di una nazione, l’uomo della provvidenza per lo storico torneo di Church Road. Da quando era solo un ragazzino Murray ha fatto tanta strada e nel 2006 si è ufficialmente affacciato al tennis dei grandi come una vera promessa: un futuro vincitore di Slam e perchè no, un futuro numero 1. Roger Federer diceva di lui che l’avremmo visto spesso su livelli top e che avrebbe trionfato in grandi tornei. E’ soltanto a partire dal 2007-2008 che Sir Murray si affaccia nel circuito insieme al suo fratello gemello (in termini tennistici) Novak Djokovic, promettendo in qualche modo di spezzare l’era tirannica di Roger Federer e del suo successore Rafa Nadal.

La Gran Bretagna è in fermento; è nato il nuovo Fred Perry e prima o poi il tabù di un britannico vincitore a Wimbledon a distanza di oltre metà secolo, verrà sfatato. Murray si fa carico non volendo del peso di una nazione ed è questo forse uno dei motivi fondamentali della sua ritardata consacrazione. Il suo “gemello” Djokovic pare più precoce quando trionfa nel 2008 in Australia con il suo primo Slam e inizia a battere più di qualche volta i grandi Roger e Rafa. “Ma Murray ha più talento”, dicevano in tanti, “può vincere di più”. La prima finale Slam arriva nel 2008 proprio contro Federer, quel giorno troppo forte e motivato per poter essere sconfitto. L’affermazione di Murray sembrava a tutti soltanto una questione di tempo, ma così in realtà non fu. L’impressione che si percepiva era che allo scozzese mancasse sempre qualcosa per poter trionfare in uno Slam. Coraggio, forza e continuità prima di tutto, queste sembravano le carenze di quella grande promessa. La realtà però era soltanto una: quei due là davanti erano semplicemente di un altro pianeta. Cosa poteva fare Murray di fronte a quel Federer degli AO 2010 e di fronte al Nadal del RG 2011?

Il problema è che ben presto ai due “alieni” se  ne aggiunge un terzo nel 2011 ed è proprio il suo coetaneo Djokovic, che trova una delle stagioni più grandi di tutti i tempi e va a prendersi quel numero 1 del mondo che sembrava potesse appartenere più a Murray che a lui. Nel 2012 pare l’anno buono quando Andy raggiunge la sua prima storica finale a Wimbledon. Ancora una volta è un Federer a dir poco stellare a sconfiggerlo in 4 set; le lacrime di Murray ancora una volta, con il piatto da secondo classificato in mano. La rivincita però si presenta appena qualche settimana dopo su quelli stessi campi, quando il giovanotto di Dunblane vince la medaglia d’oro olimpica. E’ da lì, da quel momento che, in un’epoca in cui si scrive la storia del tennis, “il quarto incomodo Murray” si fa carico della storia tennistica unicamente di una nazione. Arriva così, finalmente il primo grande trionfo in uno Slam agli US Open del 2012, in finale contro l’eterno rivale Nole. Pareva che qualcosa fosse cambiato finalmente e che la rincorsa di Murray a quei tre là davanti sarebbe finita. Nel 2013 si riscrive la storia: un britannico torna a vincere Wimbledon 77 anni dopo Fred Perry. Ivan Lendl, il nuovo coach del talento britannico, dichiara che il suo protetto ha tutte le capacità per diventare numero 1 del mondo.

Lendl si sbaglia e Murray continua a peccare di continuità e a fallire nelle occasioni in cui può dimostrare di essere al livello dei tre là davanti. Il 2013 si chiude amaramente con un infortunio che condizionerà tutta la sua stagione successiva, portandolo quasi fuori dai primi 8 a fine anno. Nel 2015 ritrova il suo tennis migliore e torna a collezionare piazzamenti. Ma come biasimarlo? D’altronde che colpe ha lui di fronte a quel suo amico che non sbaglia mai? Cosa può fare di più contro quel Roger che contro di lui pare sempre Dio sceso in terra? Ormai era praticamente chiaro a tutti: Murray è un grandissimo campione, un grande talento, ma i tre davanti a lui sono semplicemente un gradino più sopra. A fine anno scrive un’altra pagina di storia del tennis britannico vincendo la Coppa Davis. “Uno dei trionfi più belli della mia carriera” dichiarerà dopo aver alzato la famosa insalatiera. La carriera di Murray ormai pare nient’altro che questo: qualche grande vittoria al cospetto del dominio dei “fab 3”. Suo fratello Nole continua a massacrarlo finale dopo finale anche nel 2016: lo batte in finale in Australia e anche nella sua prima finale a Parigi, proprio quando sembrava la sua grande occasione. Ancora una volta Andy viene accusato di essere un finto campione, di non avere la qualifica per essere definito un FAB. Nessuno capisce, nessuno ci arriva a capirlo ma il problema è soltanto uno: quei 3 sono i giocatori più forti di tutti i tempi e sono più forti di lui, senza se e senza ma.

Nessuno però si è mai accorto di quanto questo campione lavorasse duro e continuasse imperterrito a credere che il suo momento sarebbe arrivato. Murray è sempre stato accusato di non essere abbastanza “forte” di cuore, ma la realtà è che lui non ha mai mollato, tra un lamento e un altro, tra un’imprecazione con se stesso e con il suo angolo. Quella rabbia e quella furia di fronte anche ad un solo errore, dovuta al fatto di non essere il migliore, di non essere il numero 1. Andy e il suo team ci hanno sempre creduto e hanno sempre pensato che prima o poi il momento propizio sarebbe arrivato e che i tre fenomeni sarebbero crollati. La svolta è stata proprio la finale del RG 2016, una delle più grandi delusioni della sua carriera. Da lì tutto cambia: Nole è appagato e stanco e Andy trova la continuità che gli è sempre mancata andandosi a prendere tutti i titoli possibili lungo la seconda metà del 2016. Riscrive la storia tra Wimbledon e Olimpiadi, diventando il primo giocatore nella storia a vincere due volte un oro olimpico. Fallisce ancora una volta agli US Open, ma ormai la corsa è inarrestabile e grazie ad una straordinaria striscia di vittorie consecutive (ben 4 tornei di cui 2 Masters 1000), si va a prendere in maniera definitiva il numero 1 del mondo, proprio a discapito di quel Djokovic che tante delusioni gli ha portato nella sua carriera.

Si tratta forse. di una della più grandi sorprese nella storia del tennis. Probabilmente nessuno avrebbe immaginato al termine di quel disastroso 2014, la stagione peggiore della carriera di Andy Murray, da quando è diventato un “big”, che si sarebbe anche lui consacrato come numero 1. L’infortunio alla schiena maturato nel 2013 e che lo aveva costretto ad un’operazione chirurgica, sembrava poter essere letale e il destino di Andy da eterno secondo sembrava scritto. Oggi tutto il mondo, tennistico e non, gli riconosce a pieno quel titolo che aspettava da tutta la vita e che forse avrebbe ottenuto molto prima se non fosse stato per i fenomeni della natura che si è ritrovato davanti. Il numero 1 di Murray ha un significato speciale perchè mostra come un superumano sia riuscito a diventare il migliore in un’epoca scritta e rappresentata dagli Dei del tennis. Andy è un esempio di duro lavoro, dedizione, passione e ambizione e oggi come oggi, dopo le tante etichette di eterno secondo, brutto anatroccolo e perdente di successo che gli sono state attaccate, merita di prendersi l’unica etichetta che gli spetta di diritto, quella di numero 1 al mondo.

CONGRATULATIONS SIR MURRAY!

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