Trump e il ritorno delle sanzioni all’Iran |Ius in itinere|

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5 Novembre; Embargo commerciale

Lo scorso 5 novembre, il Dipartimento di Stato americano ha imposto un nuovo embargo commerciale  per isolare Teheran nel Medio Oriente.

Infatti, si parla di sanzioni a “tolleranza zero” che avrebbero costretto gli Stati ad una scelta: commerciare con Washington o con l’Iran. Chiaramente, le principali sanzioni riguardano le esportazioni di petrolio iraniano. Una mossa rischiosa per il prezzo mondiale del greggio, per l’economia iraniana ma, allo stesso tempo,  si tratta di una misura più tollerante del previsto.

Le conseguenze economiche delle sanzioni

Anzitutto, il Dipartimento di Stato americano ha diffuso una nota in cui esenta ben 8 paesi dalle sanzioni a Teheran. Tra questi figura anche l’Italia, oltre alla Grecia, Cina, India, Corea del Sud, Giappone, Turchia e Taiwan.

Prima di chiarire il nuovo contesto internazionale e capire anche la situazione italiana, appare necessario indagare le implicazioni economiche.

In effetti, secondo alcuni studi si può stimare una diminuzione delle esportazioni di petrolio iraniane più significativa rispetto a quella del periodo 2012-2015, cioè quando era in vigore l’embargo dell’amministrazione Obama.

Quindi, la contrazione sarebbe circa di 2 milioni di barili al giorno, ben superiore rispetto alla diminuzione di 1,2 milioni di barili dalle sanzioni nel 2012- 2015. Ciò, chiaramente, potrebbe provocare più danni al mercato internazionale perché, attualmente, la domanda globale di petrolio è maggiore rispetto al periodo delle precedenti sanzioni a causa di una generale crescita economica.

In questi giorni, inoltre, i principali paesi produttori di greggio hanno assicurato l’intenzione di colmare le quote di mercato scoperte dall’uscita dell’Iran. Tuttavia, un tale aggiornamento produttivo resta comunque in dubbio: non è a priori stimabile la reale capacità di questi paesi di adattare repentinamente la produzione per soddisfare la domanda globale, e, soprattutto sostenerla nel tempo. Allora, un aumento del prezzo del petrolio appare una probabile realtà. Un rischio più forte che mina la sostenibilità e la desiderabilità della nuova strategia punitiva di Trump.

Le implicazioni interne delle sanzioni

Le nuove sanzioni americane avranno un impatto diretto sulla vita politica e sociale iraniana. La situazione economica è già in netto peggioramento, con un arresto del Prodotto Interno Lordo e, per i prossimi due anni, le stime prevedono una recessione, un aumento dell’inflazione e un’ulteriore svalutazione del valore del rial. Ancora, le sanzioni alla Persian Bank, attraverso cui transitavo gli scambi con l’Unione Europea, hanno reso più complicati i commerci specie dei beni umanitari. In attesa che l’UE si doti di uno strumento finanziario per aggirare le sanzioni, Bruxelles si è fermamente dichiarata contraria alla politica americana, dichiarando valido  l’accordo sul nucleare abbandonato da Trump lo scorso maggio, è contraria alle sanzioni americane.

Tuttavia, la dottrina internazionale nutre seri dubbi sul fatto che Trump raggiunga l’obiettivo di colpire il reale obiettivo: le Guardie della rivoluzione e il governo di Rouhani. In primis, perché il mercato dei beni potrà ritornare appannaggio del mercato nero a vantaggio di entità economiche parastatali con forti legami militari. In secondo luogo, sarà oggettivamente sperare in una spinta dal basso della popolazione iraniana:  in effetti, Trump auspicherebbe un vero e proprio cambio di regime.

Eppure, la crescente impopolarità del presidente Rouhani non potrà che favorire il ritorno di una presidenza della fazione ultraconservatore alle future elezioni del 2021. Così, si bloccherà quel faticoso processo di riforme e di apertura al dialogo dei moderati iraniani.

Allora, le sanzioni commerciali e la sospensione dell’accordo sul nucleare iraniano degli Stati Uniti rischiano di produrre un inasprimento dei toni e delle attività belliche nel Medio Oriente.

Non si può non considerare la sopravvalutazione  dell’amministrazione Trump nell’attribuire il successo delle operazioni iraniane all’estero alle proprie risorse finanziare. Infatti, ciò pare attribuirsi alle opportunità del caos e dell’instabilità regionale.

L’esenzione dell’Italia dalle sanzioni

L’Italia è il principale partner commerciale europeo dell’Iran.

Nel 2017 l’interscambio ha raggiunto i 5,1 miliardi di euro e la bilancia dei pagamenti pende a favore delle importazioni dall’Iran verso l’Italia, specie di prodotti energetici. Secondo gli ultimi dati dell’Unione petrolifera italiana, nei primi otto mesi del 2018, Roma ha importato dall’Iran 5,2 milioni di tonnellate di greggio. Quindi, l’Iran resta il terzo esportatore con una quota del 12,5% sull’import complessivo di petrolio, dietro all’Iraq e all’Azerbaijan.

Il Segretario di Stato americano, Pompeo, aveva giustificato le esenzioni perché quegli 8 paesi erano in procinto di ridurre le importazioni di greggio da Teheran. Si tratta di un’argomentazione che non corrisponde alla realtà: l’Italia è il primo importatore europeo di petrolio iraniano mentre Turchia, India e Cina sono i primi tre al mondo.

Sanzioni a tolleranza zero; più morbide del previsto

Ecco perché le sanzioni a tolleranza zero appaiono essere più morbide del previsto, probabilmente per non causare uno shock del prezzo del petrolio a livello globale.

Tuttavia, ciò che appare come una concessione americana all’Italia per evitare le conseguenze negative delle sanzioni iraniane, sembra piuttosto uno scambio geopolitico.

Secondo un editoriale di Lucio Caracciolo su Limes, gli Stati Uniti porrebbero sul tavolo il completamento dell’acquisto storie dei caccia F-35 e la preservazione del Muos, sistema satellitare avanzato ad alta frequenza e banda stretta installato in Sicilia, fondamentale per le comunicazioni militari Usa nel Mediterraneo.

Ancora, non si può dimenticare l’importanza dell’avvio dei lavori del gasdotto Tap, la Trans-Adriatic Pipeline, che attraverserà Grecia, Albania e Italia per trasportare direttamente in Europa gas offshore azero. Quindi, ciò significa indipendenza energetica europea dalla Russia.

Infine, Trump persegue uno smarcamento italiano dall’asse franco-tedesco. Infatti, Macron e la Merkel hanno difeso l’accordo 5+1 mentre il premier Conte si è preoccupato di salvaguardare gli interessi economici italiani.

In definitiva, si ricordi che le sanzioni sono uno strumento di pressione politica estrema. Per essere efficaci è necessario che vi aderisca il più ampio numero possibile di Paesi. Cosa che non sta accadendo oggi. Sono troppi i Paesi che non accettano le conseguenze negative politiche ed economiche del ritorno ad un regime di sanzioni all’Iran.

autore: Marco Di Domenico 

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