Banca d’Italia: nel 2015, 2 imprese su 3 in utile

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Che l’economia italiana stia uscendo, seppur lentamente, dal periodo più buio della crisi, ormai è cosa nota. Palazzo Koch d’altronde, seppur non esprimendo valutazioni troppo ottimistiche, dichiara che ben 2 bilanci d’azienda su 3 mostrerebbero un’utile netto al termine dell’anno corrente; determinando un effetto a catena che va a riflettersi positivamente anche sulla situazione finanziaria delle banche nostrane.
Ma questo non è il solo fattore che delinea uno scenario positivo per gli istituti finanziari del Bel Paese.
Innanzitutto, il calo del tasso di deterioramento dal 6% al 3,8% mostra sicuramente una maggior qualità dei crediti detenuti dagli enti bancari. Segnali positivi provengono anche dal rapporto CET1 ratio, ossia uno degli indici più utilizzati per valutare la solidità delle banche.

Ed appunto 11,8% è stato il valore registrato nello scorso Giugno, a fronte di un 8% minimo stabilito dai regolamenti della BCE; il che equivarrebbe ad un “surplus” del circa 4%. Inoltre la buona salute delle banche va rispecchiarsi su una maggior disponibilità nell’erogazione del credito alle imprese, – Soprattutto – sottolinea via Nazionale, – se si tiene conto del crescente grado di solvenza delle aziende rispetto ai loro impegni – . E’ quindi innegabile che i due terzi delle società italiche stimanti la chiusura dell’anno sotto il segno più, rappresentino uno dei migliori dati economici osservati negli ultimi 10 anni.

Che il tessuto imprenditoriale italico si stia ravvivando, poi, è riscontrabile almeno parzialmente nell’osservazione di alcuni dati ISTAT: il 55,7% relativo al tasso di occupazione del secondo trimestre 2014 ha subito un’incoraggiante, seppur lieve, ascesa del 0,6%; attestandosi al 56,3% registrato nel secondo trimestre del 2015. Ciò sottolinea un incremento occupazionale di circa 200.000 unità lavorative, ma attenzione. Sicuramente sono valori considerevoli e considerabili, ma si deve tener conto che l’assunzione lavorativa dei soggetti non sempre coincide con un contratto a tempo indeterminato, ovvero a un sinonimo di stabilità.

Quest’ultimo infatti è considerato alla stregua di un lusso; l’eccezione a fronte dei ben 46 tipi di contratti di lavoro attualmente vigenti. Una frammentazione che crea confusione e, molto spesso, permette ai datori di lavoro di “assumere” e classificare i servizi offerti dai propri dipendenti, specie se giovani ed inesperti, come tirocini o “esperienze formative” della durata di qualche mese o poco più. Escamotage giuridico-tecnici che se da un lato favoriscono gli imprenditori, dall’altra non permettono certo alla categoria impiegatizia, in senso ampio, di costruire di alcun progetto a medio-lungo termine.

In ogni caso il proclamato taglio dell’IRES sui profitti delle imprese a partire dal 2016, congiuntamente con il pacchetto di manovre finanziarie varate nella Legge di Stabilità, andrebbe a rilasciare una vivificante boccata d’ossigeno al tessuto aziendale italico.
Sono interventi importanti; ma c’è molto altro da fare per permettere all’Italia di tornare ad essere appetibile come meta d’investimenti industriali esteri.

Fonte: ilvaloredeidati.istat.it

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