Il fallimento della nuova riforma elettorale sul voto disgiunto

In data 8 giugno, la Camera dei Deputati ha votato per la costituzione di una nuova riforma elettorale, con lo scopo di superare le ormai troppo frequenti situazioni di instabilità post-elezioni. Il nuovo sistema proposto viene definito “modello tedesco”, con l’obiettivo di terminare l’epoca dei latinismi parlamentari, grazie alla possibilità di doppia espressione di voto, la prima in cui si indica il candidato del collegio di appartenenza che si vuole votare e la seconda in cui si esprime il voto per la lista.

In Italia sono previsti circa 303 collegi. Il metodo di voto è semplice, si tratta di sfide secche tra i candidati locali, coloro che riescono a prendere più voti vengono eletti come rappresentanti di quel collegio, rafforzando molto la territorialità del voto. La seconda scheda contiene il voto decisivo, quello in cui si determina il partito vincitore; esso si basa sull’espressione della preferenza per la lista candidata, o partito, ed in base ai risultati di questa seconda scheda si determinano le percentuali di divisione del voto che andranno a determinare il numero di seggi parlamentari assegnati ad ogni lista, aumentando o diminuendo i vincitori dei singoli collegi. Le liste da votare conterranno nomi “bloccati” che saranno eletti sulla base dei risultati inerenti le percentuali della seconda votazione, per un totale di 303 parlamentari, che, sommati ai 303 eletti dai collegi, ai 12 eletti all’estero e ai 12 di Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige, raggiungono il numero completo di 630.

Nonostante la forte ispirazione al modello tedesco esistono comunque alcune sostanziali differenze. Innanzitutto la Germania è uno Stato federale e la rappresentanza territoriale ha ben altro valore rispetto a quello che si avrebbe in Italia, dove si andrebbe a dimostrare soltanto la forza del candidato del collegio sul territorio, affermando movimenti politici già consolidati e penalizzando nuove realtà emergenti. Inoltre la costituzione tedesca prevede una variazione nel numero dei parlamentari eletti in caso di forte sproporzione dei voti espressi nella seconda scheda. L’aggiunta poi della soglia di sbarramento ai partiti che non raggiungono almeno il 5% dei voti e la conseguente divisione dei seggi ottenuti tra i partiti più grandi non è altro che un tentativo di raccogliere briciole, per cercare di rafforzare grandi partiti politici non più uniti e che non possono più contare sui vecchi voti di appartenenza caratteristici della Prima Repubblica.

Ma la grande differenza della riforma è il voto disgiunto, argomento che molto ha fatto discutere i due principali partiti politici: PD e M5S. Al PD, come anche alla Lega, non porterebbe buoni risultati una disgiunzione del voto, trattandosi di partiti molto radicati nelle realtà locali rispetto ad un movimento più o meno nuovo come i 5stelle.

È stato probabilmente questo punto a portare al fallimento dell’accordo sulla legge di due sere fa. Premesso che, comunque sia, si è arrivati al voto in un clima di piena tensione, per i soliti motivi di convenienza elettorale. Il tutto è partito dall’intervento dell’On. Biancofiore di Forza Italia, che ha presentato un emendamento riguardante l’estensione della legge elettorale anche al Trentino Alto-Adige. Una procedura del genere avrebbe minato gli interessi politici del gruppo politico sudtirolese SvB, in alleanza con il PD, che si era espresso chiaramente sulla volontà di rimanere indipendente per l’applicazione della riforma elettorale. Al momento della votazione dell’emendamento, la verità è venuta a galla: a causa di franchi tiratori democratici e grillini, i favorevoli all’emendamento sono stati 270 contro i 236 contrari, nonostante i relatori si fossero espressi contrariamente all’accettazione dell’emendamento. Per via di un disguido tecnico, il tabellone ha mostrato il risultato dei voti che sarebbero dovuti rimanere segreti e si è chiaramente visto il numero di luci verdi presenti tra i banchi del M5S, i quali sono stati subito accusati dalla maggioranza dem di aver “ucciso la riforma elettorale”(On. Fiano) . Alla luce delle dispute avvenute successivamente a questo episodio, sembra difficile che questa legge elettorale possa essere portata a termine, non tanto per via del testo stesso, ma piuttosto per la fiducia e la solidità tra i partiti di maggioranza.

Chiaramente una soluzione dovrà essere trovata e al più presto, magari ricordandosi che la politica non è una disputa tra persone e partiti ma è un confronto di idee per migliorare la vita dei cittadini. Lo stesso Platone nella sua opera La Repubblica affermava che chi volesse fare del bene collettivo dovrebbe essere prima di tutto capace di individuarlo. Ed è infatti questo il quesito più importante: è la nostra classe politica capace di individuare il bene collettivo della nazione che sta governando?

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