#UiFlashback: 28 Aprile 1967 – Il “più grande di tutti” dice “No!”

Quando dici che il più grande di tutti i tempi è nella stanza, tutti sanno chi si intende“, ha detto il presidente americano Bush nel 2005, riferendosi al premiato, in occasione della consegna della Presidential Medal of Freedom, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti.

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Muhammad Ali, il “più grande di tutti”, con il presidente americano Bush, durante la premiazione del 2005.

La guerra del Vietnam

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, il Vietnam torna ad essere una colonia francese dopo un periodo di assoggettamento all’impero giapponese. Tuttavia molti vietnamiti desideravano l’indipendenza ad ogni costo. Ecco che negli anni 50 i francesi si ritrovarono a combattere una guerra contro il Viet Minh, ossia un’organizzazione dedita a respingere le potenze straniere dal Vietnam.

Perché gli Stati Uniti furono coinvolti?

La dottrina del Presidente Truman, dichiarata fin dal dagli inizi della guerra fredda nel 1947, aveva tra gli obiettivi il contrasto alla diffusione del comunismo e delle forze filo-sovietiche nel sud-est asiatico. Numerosi presidenti americani seguirono tale dottrina, iniziando col finanziare lo sforzo bellico francese in Vietnam.

Il conflitto ebbe luogo dunque dalla metà degli anni ‘50, attraverso una escalation di eventi che vide il progressivo coinvolgimento diretto dell’esercito degli Stati Uniti. Nel 1965 la decisione di impegnare un’enorme quantità di forze terrestri, aeree e navali sembrava dovesse portare ad un inevitabile gloriosa vittoria degli americani. Ma non andò affatto così.

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Soldati americani che aiutano i compagni feriti ad essere raccolti da un elicottero medevac guidato attraverso il fogliame della giungla, aprile 1968. (AP Photo / Art Greenspon)

Dopo ben due anni di stallo, gli Stati Uniti decisero di impegnarsi in modo ancora più massiccio, iniziando una vera e propria “lotteria” per la coscrizione obbligatoria e portando avanti una pesante campagna propagandistica al sostegno dell’arruolamento.

Muhammad Ali, il più grande di tutti

Cassius Clay, che oramai si faceva chiamare Muhammad Ali a seguito della sua conversione alla religione islamica, nel 1967 era il campione in carica dei pesi massimi. Molti risero all’idea di un ventiduenne che potesse sconfiggere il temibile e violento Sonny Liston, ma è quello che fece per ben due volte quando si guadagnò il titolo nel 1964. Tuttavia suoi risultati atletici non lo definiscono quanto la sua grande personalità. Infatti, aveva già iniziato la campagna per i diritti degli afroamericani, sfruttando soprattutto la propria grande popolarità di campione. Quando nel 1967 venne sorteggiato dalla lotteria ed il suo nome apparve nella lista dei coscritti, egli si oppose con tutta la forza di cui poteva disporre al di fuori del ring.

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Foto tratta dallo storico incontro tra Muhammad Ali e Sonny Liston.

Il 28 Aprile 1967: il giorno del rifiuto

Tratto da un celebre discorso: “La mia coscienza non mi permette di andare a sparare a mio fratello o a qualche altra persona con la pelle più scura, o a gente povera e affamata nel fango per la grande e potente America. E sparargli per cosa? Non mi hanno mai chiamato ‘negro’, non mi hanno mai linciato, non mi hanno mai attaccato con i cani, non mi hanno mai privato della mia nazionalità, stuprato o ucciso mia madre e mio padre – in questo passaggio Ali si riferisce ai numerosi eventi di matrice razzista che in quegli anni riempivano le cronache negli Stati Uniti -. Sparargli per cosa? Come posso sparare a quelle povere persone? Allora portatemi in galera”.

Da un altro discorso di fronte a una folla di giornalisti e persone bianche: “Siete voi il mio nemico, il mio nemico è la gente bianca, non i Vietcong i cinesi o i giapponesi. Voi siete i miei oppositori se voglio la libertà, siete voi i miei oppositori se voglio giustizia. Siete voi i miei oppositori se voglio uguaglianza. Voi non mi sosterrete mai in America per il mio credo religioso. E volete che vada da qualche parte e combattere. Ma difenderete mai voi me qui a casa?”.

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Muhammad Ali, simbolo di lotta “dentro e fuori dal ring”.

Il prezzo dei diritti

Il suo rifiuto di essere introdotto nelle forze armate statunitensi gli costò il titolo di campione, la licenza da pugile e gli venne impedito di salire sul ring, derubandolo dei suoi anni migliori come combattente professionista. Rischiò anche il carcere e furono necessari anni di cause per dimostrare la sua innocenza. Solo nel 1971 la Suprema corte ribaltò la sentenza, riconoscendo il suo diritto di obiettore di coscienza.

Inizialmente venne anche insultato e marchiato come traditore per la sua posizione contro la guerra. Tuttavia rimanendo sempre coerente con la sua posizione ha iniziato a guadagnare simpatia durante il suo esilio dal ring, soprattutto con l’intensificarsi delle critiche alla guerra del Vietnam.
Nel 1971, quando il suo divieto di boxe venne definitivamente annullato, dichiarò “non ho litigi con il Viet Cong“. Questa volta aveva dalla sua anche la maggior parte dell’opinione pubblica americana.

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Muhammad Ali, il più grande di tutti.

Negli anni successivi, dopo numerose peripezie, riuscì a riguadagnarsi il titolo di campione del mondo sul ring, come amava fare. Ancora oggi il suo “no” è considerato come una delle battaglie più importanti per l’obbiezione di coscienza e per i diritti degli afroamericani.

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