Il Moderno Prometeo

Quest’ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è e sarà fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne.

Eraclito

Creazionismo e darwinismo, panteismo ed ateismo, platonismo ed aristotelismo: da sempre l’essere umano ricerca la verità attraverso una serie crescente di opposti, destinati ad essere complementari.
Complementari sono la luce e le tenebre, il caldo ed il freddo, il corpo e l’anima, il bene ed il male dalla cui unione nascono scale di grigi che complicano la classificazione se analizzati in maniera esclusivamente empirica, lasciando così ampi spazi vuoti e l’illusione che tutto possa essere yin o yang. I Greci furono probabilmente avanguardia della ragione e della comprensione del mondo, sin dai tempi del filosofo Eraclito che decise di innovare l’approccio empirico attraverso un semplice fiume: il letto rimane lo stesso mentre l’acqua scorre, immutabilità e divenire.
Il fuoco, a sua volta, indica la ciclicità degli eventi su una linea temporale retta, l’eterno ritorno che si perpetua nell’avanzare di una dimensione fisica aritmetica e crescente; insieme agli altri 4 elementi alchemici (Aria, Terra, Acqua ed Etere) rappresenta il pilastro sul quale la millenaria tradizione europea si fonda, tanto da diventare anche la rappresentazione naturale della conoscenza nel mito di Prometeo.

Prometeo, ossia il titano che decise di ribellarsi agli dei e di far dono all’umanità della ragione rubando il fuoco della conoscenza.
L’origine del mito si perde tra le pieghe del tempo: Prometeo tradì i suoi fratelli titani alleandosi con Zeus, quando le sorti della guerra erano già decise; ciò lo posero tra le grazie del padre degli dèi, il quale gli diede l’incarico di forgiare gli esseri umani.
A deteriorare i rapporti tra il dio ed il titano fu l’amore che quest’ultimo provava nei confronti degli uomini, rapporto che lo portò a rubare il fuoco della ragione e donarlo alla razza umana.
L’affronto agli dei non rimase impunito: Prometeo venne incatenato da Efeso ai confini del mondo, costretto a lasciarsi divorare il fegato da un’aquila ogni giorno, mentre gli esseri umani subirono gli effetti apocalittici provenienti dall’apertura del vaso di Pandora, portando così fatica, malattia, vecchiaia, pazzia, passione e morte, innescando al tempo stesso la speranza che conduce l’uomo nuovo verso la propria autodeterminazione.

Il fuoco di Prometeo, l’acqua di Enki e la mela di Lucifero ci hanno resi ciò che siamo: dèi nell’anima, mortali nel corpo.

Il mito del titano greco influenzò fortemente la cultura occidentale, almeno fino al periodo illuminista, dove per la prima volta l’uomo in quanto ragione venne posto al centro dell’universo, cancellando dal proprio albero genealogico le radici divine; ciò lo portò non più a ragionare all’interno degli argini del giusto e dello sbagliato, ma lo liberò dai vincoli naturali consentendogli chiedersi una sola ed unica domanda: “cosa sono in grado di fare?”.
La volontà degli illuministi di imporsi come divinità causò un allontanamento dei popoli dalle loro tradizioni millenarie seguendo l’ideale di un uomo nuovo pronto a vivere solo il proprio futuro dimenticato chi lo avesse preceduto.

Il Romanticismo diede una sferzata a questo tipo di mondo: l’uomo tornò ad essere una parte di un macrocosmo, un pianeta sull’orbita ellittica che ruota attorno ad un sole, qui non più identificati nelle divinità pagane, bensì nella natura con anima panteista.
Dio non viene più ricercato nelle chiese e nei templi, è immanente nella complessità del mondo e si incarna in Madre Natura, declinata in vari contesti e culture: una madre malefica tanto in Coleridge quanto in Leopardi, uno spirito benefico per Espronceda e Wordsworth.
La sua figura divina la rende comunque uno spirito al quale l’uomo deve piegarsi, non per via delle sue infinite capacità, bensì per la sua imperfezione e per la tendenza verso il caos: il mondo naturale è in equilibrio a differenza dell’essere umano che ingenuamente crede di avere un’indole ordinatrice.
Il debole umano deve comprendere che non è caos ciò che egli non comprende, solo qualcosa di oltre la sua comprensione non misurabile attraverso gli strumenti illuministi legati alla percezione empirica della realtà e non della realtà intrinseca.

È qui che Mary Shelley crea un ponte con la tradizione greca ed affronta la banalità illuminista, divenendo avanguardia della corrente romantica inglese attraverso la stesura della sua opera, Frankenstein.
Esattamente come Prometeo, lo scienziato decide di affrontare gli dèi e le loro leggi creando la vita, innalzandosi egli stesso dunque a falso dio e generando una serie di eventi inaspettati ed incontrollabili: la sua creatura ha un aspetto mostruoso proprio per evidenziare l’abominio della vita generata in laboratorio, incarnando l’egoismo del suo creatore.
Oggi si cerca di banalizzare l’opera attraverso temi superficiali riguardanti l’accettazione del diverso, che sotto alcuni punti di vista è individuabile se non contestualizzata nel periodo storico che Mary Shelley visse, durante il quale in Inghilterra la diversità era imposta unicamente in ambito economico e sociale, non etnico-culturale: i poveri erano tali unicamente per la loro incapacità di adeguarsi al mercato mentre la borghesia si autoincoronava come nuova aristocrazia guida del popolo nell’unico valore ammissibile dalla società, ossia il lucro.
Il vero tema fondamentale del Frankestein è il superamento dei vincoli naturali e la sofferenza che esso causa, riscontrabile sui tre livelli dell’opera che Mary Shelley presenta attraverso i tre diversi protagonisti, legati indissolubilmente dal proprio egocentrismo e la volontà di superare se stessi a danno di terzi: Walton attraverso il viaggio impossibile in direzione del Polo Nord lascia morire alcuni membri del suo equipaggio, Victor Frankenstein crea l’essere senza nome per poi abbandonarlo, mentre la creatura cerca la propria vendetta portando i protagonisti tra i ghiacci artici.
L’abbandono è appunto il secondo tema cardine del romanzo, inteso come l’incapacità di prendersi carico delle proprie responsabilità ricercando altrove il colpevole, in realtà vittima degli eventi innescati dalla mitomania dei primi: la creatura diventa aggressiva e pericolosa proprio a causa dell’abbandono del “padre”, sentendosi quindi persa senza una guida che lo instradi verso il mondo esterno, insegnandogli le regole della vita reale, nelle sue gioie e nelle sue tragedie; al contrario egli ha imparato unicamente da autodidatta le ombre legate alla crudeltà, così da egli stesso diventare spietato e vendicativo.
Ultimo tema, non per importanza, è la donna.
Il mondo moderno ci ha abituato a ragionare unicamente come individui dimenticando la nostra appartenenza ad un macrocosmo molto più profondo rispetto a ciò cui possiamo ambire come uomini soli.
Il destino di una persona è già scritto e può seguire solo alcuni percorsi prestabiliti: la vita è come un albero, i rami le nostre scelte e spetta a noi scegliere quello più resistente.
L’esser uomo e donna appartengono alla nostra identità, accettarlo serve ad intraprendere un cammino di autodeterminazione nel mondo; così come tra luce ed ombra, non esiste un genere superiore all’altro, uno giusto ed uno sbagliato, bensì è necessaria la loro complementarità perché esista la vita.
La donna, in quanto sfera lunare e dunque materiale del mondo, è indispensabile tanto quanto l’uomo che appartiene idealmente all’Iperuranio.
La scrittrice esamina con due secoli di anticipo il tema dell’esautorazione della donna generatrice di vita e la rottura della sua funzionalità reciproca con l’uomo, ricordandocelo più volte all’interno del romanzo: la vasca dove viene portato in vita il mostro rappresenta idealmente l’utero contenente il liquido amniotico che protegge e nutre il feto. L’unica a rendersi conto dei crimini commessi contro la natura è Elizabeth, la moglie di Frankenstein, che decide di togliersi la vita dopo aver subito sul proprio corpo l’aberrazione della vita artificiale, forse spinta dalla sua sensibilità femminile; contemporaneamente, attraverso il martirio decide di non essere un oggetto destinato al dottore piuttosto che al mostro, al contrario sceglie di morire libera.

“Quanto è pericoloso l’ottenimento della conoscenza e quanto è molto più felice quell’uomo che crede la sua città natale essere il mondo, di colui che aspira ad essere più grande di quanto la sua natura gli permetterà”

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