Il “processo” al 2020

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Il 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, abbiamo assistito ad un evento unico, ossia la congiunzione di Giove e Saturno, quasi che la Natura abbia voluto vergare, complice la sua irriducibile ironia, il tramonto di questo 2020: l’annus horribilis, marchiato dallo stigma di un male che tuttora imperversa, merita di essere processato, scandagliato, se non con l’intento capzioso di appagare un mai sopito ardore di giustizia, almeno per cementare la spinta resiliente di cui tanto ci piace fregiarci sui social.

Cosa si può dire dei 12 mesi passati? Tutto e niente, probabilmente nessuna parola possiede, a caldo, il potere di descrivere il tumulto emotivo che hanno comportato per tutti: dal timore costante di soccombere e di ferire, alla solitudine, passando per l’ansia e lo sforzo di adattamento ad uno stile di vita alienante, talvolta animato da sprazzi di speranza, tra cui l’abbaglio estivo, parentesi assimilabile un po’ all’ “occhio del ciclone” di una pandemia in parte celatasi solo per ritornare più spietata di prima. E ora?

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Ken Wong – Anxiety Attack

In questo andirivieni, nel divenire bustrofedico degli eventi, che ha reso il senso di colpa la porta girevole della quotidianità per molti, abbiamo visto fiorire gemme di altruismo e bontà come mai e, al contempo, esplodere l’acrimonia e l’egoismo dei tanti che, ignorando consciamente o meno la gravità del problema, hanno preferito premere il grilletto dell’ignoranza contro il prossimo, limitando lo sguardo alla punta del proprio naso. Ci siamo ritrovati in un anno di eccessi e auto-repressioni, dunque, e in senso negativo e in positivo, ma entrambi puramente ambasciatori delle istanze più recondite e dialettiche di ciascuno.

Nel marasma scaturito dalla totale accettazione di un morbo governato da logiche autoreferenziali, spesso abbiamo perso di vista ciò che ci circonda, il senso del nostro vivere nel mondo. Inizialmente, abbiamo fatto dell’isolamento forzato la nostra siepe leopardiana, lo scoglio su cui ci siamo arrampicati per vagheggiare l’infinito, ma il lavorio mentale, il solipsismo ad oltranza e le speranze disattese hanno tramutato la dolce brezza salmastra in una inerte gabbia di plexiglass. Così, ben presto, ci siamo sigillati in noi stessi, perdendo la capacità di guardare alle stelle, come anche il 21 dicembre scorso.

«A quanti uomini, presi nel gorgo d’una passione, oppure oppressi, schiacciati dalla tristezza, dalla miseria, farebbe bene pensare che c’è, sopra il soffitto, il cielo, e che nel cielo ci sono le stelle. Anche se l’esserci delle stelle non ispirasse loro un conforto religioso. Contemplandole, s’inabissa la nostra inferma piccolezza, sparisce nella vacuità degli spazi, e non può non sembrarci misera e vana ogni ragione di tormento».

Da eccezionale sempreverde, Luigi Pirandello, nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”, offre, fedelmente ai suoi ideali, non l’impossibile panacea, non la sentenza, la conclusione, ma un preziosissimo spunto di conforto da cui ripartire, parafrasabile, nel nostro caso speciale, come un invito a non perdere la cognizione dell’altro, del contesto, dell’ambiente in cui siamo calati e di tutti i risvolti di quest’ultimo che ci rendono noi.

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Ken Wong – Ionesco

Comprendiamo, così, il valore reale della resilienza, che non è un accantonare la disperazione e l’amarezza per i sogni abortiti, precipitandoli nella coltre di una mera distrazione consolatoria, un “divertissement”, bensì un ricominciare dalle piccole cose, facendo piccoli passi, guardando ad essi come le vere e proprie mete: si tratta di imparare a godere del viaggio, del viaggio imprevedibile della vita, poiché entrambi i suoi estremi sfuggono, per loro natura, alla nostra comprensione. Non decidiamo come nascere e come morire, però decidiamo come vivere e come costruire il nostro tempo.

Confutata platealmente la valenza benaugurante del “felice anno nuovo”, non possiamo fare altro che raccogliere ciò che abbiamo seminato e farne il combustibile del lume del nostro cammino, auspicando, semplicemente, un futuro colmo di vita, per l’appunto, cioè di cangiante “umanità”.

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