Gli incontri sulla Riforma: Titolo V e competenze fra Stato e regioni

Ci avviciniamo sempre di più al fatidico giorno del referendum e, quindi, anche alla conclusione degli incontri associativi di discussione che, noi di UnInFormazione, stiamo tenendo sulla grande riforma costituzionale. Quello di Venerdì è stato il penultimo incontro di analisi, nel quale abbiamo parlato della nuova modifica del Titolo V (dopo quella tanto discussa del 2001) e della conseguente nuova redistribuzione delle competenze tra Stato, regioni e in generale autonomie locali.

La Renzi-Boschi prevede una riassegnazione allo Stato di determinate competenze; qualora dovesse passare il Sì al referendum, assisteremo ad una perdita di autonomia per le regioni a statuto ordinario, mentre le regioni a statuto speciale rimarranno più o meno escluse da eventuali modifiche in virtù della loro peculiare natura.

Così come la riforma del bicameralismo, anche quella del Titolo V è argomento caldo di discussione da circa 15 anni, ovvero dalla precedente modifica del titolo suddetto, la quale ha creato un sistema poco chiaro di distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie regionali. La Corte Costituzionale ha dovuto gestire un numero esorbitante di 1.500 contenziosi tra Stato e regioni in tutti questi anni, vale a dire una cifra di gran lunga più alta di quanto si prospettasse. Il numero altissimo di contenziosi, oltre ad aver danneggiato chiaramente lo Stato e le vicende pubbliche, ha finito per causare danni ben più gravi soprattutto alle aziende, che spesso devono, oggi come oggi, aspettare anche anni prima di poter fare investimenti, in quanto costrette ad aspettare la sentenza della Corte. Dunque, che il Titolo V andasse nuovamente modificato è cosa indubbia, ma la discussione in questione è basata più che altro sul fatto che questa nuova riforma costituzionale rappresenti un passo indietro deciso verso un modello di federalismo regionale che, a partire dagli anni ’90 e dai primi del 2000, l’Italia pareva aver sposato pienamente.

La nuova riforma, in fondo, è improntata esattamente come la precedente, dato che si concentra semplicemente sulla riassegnazione delle competenze tra lo Stato e le regioni, dividendo le materie legislative in tre parti: di competenza statale, di competenza concorrente e di competenza regionale. L’elenco delle competenze statali, rispetto all’attuale situazione, è più vasto e le competenze regionali, oltre ad essere elencate per quanto riguarda casi specifici, sono residuali, ovvero tutte quelle non espressamente elencate tra le statali. Per quanto riguarda le cosiddette competenze concorrenti, che tanti problemi hanno dato in questi 15 anni, nella nuova riforma tornano ma in maniera differente; lo Stato, in merito a determinate tematiche, avrà soltanto una competenza legislativa generale e di base, mentre tutte le disposizioni specifiche saranno lasciate alle autonomie regionali.

FONTE: Il Post
FONTE: Il Post

Ma la più grande novità della nuova modifica del Titolo V, e che coinvolge ovviamente anche il nuovo Senato delle Autonomie, è rappresentata dalla cosiddetta clausola di supremazia. Essa prevede che lo Stato avrà facoltà di legiferare anche in materie di esclusiva competenza regionale, qualora lo richieda “la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

Le regioni a statuto speciale, come già detto, rimarranno praticamente incolumi rispetto alla nuova riforma. Altra disposizione importante riguarda la facoltà concessa allo Stato, con apposito procedimento, di rimuovere amministratori regionali o comunali, qualora venga dimostrato che l’ente da loro amministrato versi in gravi situazioni economico-finanziarie.

La parola province scompare definitivamente nella Renzi-Boschi e verrà rimandato alla legge ordinaria successivamente il compito di normare quelle funzioni che rimangono ancora oggi di competenza provinciale.

Rimane veramente difficile capire quale sarebbe l’effetto sui contenziosi tra Stato e regioni nel caso in cui vincesse il Sì al referendum ma ciò che è possibile stimare, in termini di effetti,  è sicuramente l’allargamento del potere di azione statale. Lo Stato avrebbe molta più facilità di azione nelle politiche sociali, nelle infrastrutture e nella sanità e avrà la possibilità, anche grazie alla clausola di supremazia, di raggiungere una certa uniformità nazionale in termini economici e sociali. D’altro canto però, il ruolo delle regioni risulterà molto ridimensionato e, come i sostenitori del No dicono, le autonomie locali e regionali conoscono molto meglio gli interessi e le esigenze della popolazione. L’altro crucio del nuovo Titolo V riguarda poi la clausola di supremazia e la sua applicazione; vista la composizione regionale nel Senato delle Autonomie, con un numero di Senatori molto elevato per certe regioni e molto basso per altre, si potrebbe assistere,in talune situazioni, allo schieramento concordato contro aree molto piccole per grandi interessi economici. In questo senso le piccole regioni appaiono molto svantaggiate, non avendo a disposizione strumenti forti per rappresentarsi a livello nazionale.

Certamente si tratta di una modifica che si pone l’obiettivo di alleggerire il processo legislativo, eliminare i contenziosi e favorire l’unità di indirizzo nazionale in nome dell’interesse economico. Capire però quale sarà l’effetto reale è difficile, così come lo fu nel 2001.

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